STRESS ED EVENTI DI VITA: DALLA PERCEZIONE DI UN EVENTO COME STRESSANTE ALLA RISORSA DEL PENSIERO

La vasta tematica riguardante lo stress come risposta adattiva pone in evidenza le complesse relazioni che intercorrono fra il mondo esterno e la persona nella sua interazione mente-corpo nonché nella capacità della stessa di far fronte agli stimoli che possono alterare il suo stato di equilibrio.

Alcuni aspetti importanti inerenti lo stress e i modi di affrontarlo sono comuni a più persone, quello che differisce ed è unico per ogni tipo di personalità è il modo in cui un evento potenzialmente stressante viene interpretato dalla persona. Questo perché la diversa immagine e concezione della vita che ognuno ha, funge da modello nella decodificazione dello stimolo stressante rendendo la persona più o meno vulnerabile all’alterazione del proprio equilibrio psicofisico.

Dunque, riuscire a far fronte alle difficoltà che lo stress comporta è uno dei compiti più importanti per l’essere umano a partire dalla propria nascita, e nel corso della lotta per la sua sopravvivenza.

Nel tentativo costante di mantenere un equilibrio ottimale, dobbiamo mettere in conto che ogni evento che produce un cambiamento nel nostro modo di vivere determina una condizione di stress a cui segue un riadattamento nel nostro stile di vita.

L’assunzione di nuove responsabilità in persone giovani e adulte – come possono essere la fine degli esami, il diploma, la laurea, dal primo impiego lavorativo al cambio di mansione, la perdita momentanea del lavoro, il matrimonio, la separazione e il divorzio, la nascita di un figlio o la difficoltà a concepirne uno in modo naturale, un trasferimento in un paese diverso da quello dove si è cresciuti, la morte di una persona cara, importanti malattie succedutesi nel tempo – possono influire sull’equilibrio psicologico generando un livello di allarme che – secondo predisposizioni personali – può portare ad un aumento di attività volte al recupero delle proprie risorse interne così come ad una sorta di immobilismo parossistico e alla riacutizzazione di disagi psicologici come ansia generalizzata, attacchi di panico, pensiero dominante di tipo ossessivo, che intrappolano la persona sfinendola ancora di più e allontanandola dalla ricezione corretta delle proprie emozioni.

Alla sorgente di queste diverse risposte agli eventi di vita c’è l’assunto di base secondo il quale noi non avvertiamo alcun disagio fino a che non percepiamo che tra noi e l’ambiente si è alterato il delicato equilibrio che ci permette di interagire efficacemente con esso.

Come “pensiamo” l’ambiente, le richieste che esso ci pone e che mettono a dura prova le nostre risorse e la nostra capacità di farvi fronte, è una caratteristica cognitiva umana che ci dimostra come siano i nostri pensieri a determinare le nostre risposte allo stress.

La capacità di prevedere e controllare quello che succede è il primo fondamentale fattore che influenza la percezione di un evento come stressante ed è per questo che per alcune persone l’effetto sorpresa genera ansia e disequilibrio mentre per altre la valutazione della stessa situazione imprevista può divenire una sfida stimolante, comunque vitale.

In questa valutazione cognitiva è presente la convinzione che le circostanze possono tradire il nostro impegno certosino a costruirci una stabile solidità interiore, mentre quello che gli eventi di vita ci insegnano spesso in modo doloroso è che le circostanze contengono la possibilità di perdita.

Sappiamo quanto questo può essere vero se rileggendo nel ricordo un’esperienza passata, riconosciamo quanto ha inciso la nostra specifica e unica “lettura” personale dell’evento nel determinare la risposta all’esperienza che abbiamo vissuto.

Il passo successivo alla conoscenza di noi stessi sarà quello di rendersi consapevoli della nostra più grande risorsa: la capacità di pensare, di riflettere in modo critico sulle circostanze e sulla nostra modalità di risposta appresa dalle precedenti esperienze, fino ad allineare questo alla nostra esigenza di benessere psicofisico e provvedere al futuro considerando interventi di crescita personale e percorsi di tipo psicologico come la psicoterapia, come strumenti volti al rafforzamento interiore e non, come comunemente visti, come segno di debolezza o di poco carattere.

LA PELLE COME SPECCHIO DELLE EMOZIONI NON RICONOSCIUTE: Significati psicosomatici

autunno

Sulla pelle ritroviamo scritta la nostra storia così come la pelle è il nostro confine, essa ci racchiude, ci integra, ci delimita nella nostra forma fisica. La possiamo nascondere agli occhi e al tatto degli altri ma solo in parte. La possiamo mostrare, svelandoci agli occhi di noi stessi e degli altri, ma non solo in parte perché la pelle può tradire il nostro vissuto interiore.

La pelle rappresenta un confine labile tra noi e gli altri ed è la prima parte di noi stessi ad essere colpita… o amata. Sulla pelle i segni restano ben visibili o diventare un’ombra sensibile al tatto che ci ricorda qualcosa che forse vorremmo dimenticare. Questa è la pelle come corazza che sfida l’altro e il mondo con cicatrici, sfoghi, piccole piaghe e spesse chiazze che parlano al nostro posto, raccontandoci senza parole.

Possiamo comprendere quanto sia importante per il nostro equilibrio psicofisico la salute della nostra pelle partendo dalle origini del nostro cammino fin dal concepimento. Le cellule che rivestono primitivamente l’embrione, in parte formano il cervello e il resto del nostro sistema nervoso, e in parte rimangono sulla superficie dell’embrione fino alla fine del suo sviluppo per formare la cute. Dunque, così come esistono diverse patologie dove due organi sono contemporaneamente malati perché interconnessi, la pelle è soprattutto un importante organo di difesa capace di strutturarsi a seconda delle esigenze dell’individuo diventando una vera e propria spia del nostro stato di salute che dobbiamo imparare ad ascoltare e a leggere con attenzione amorevole.

Accettare che esiste il legame mente-corpo in quanto connessione inscindibile primaria, significa comprendere e dare una lettura nuova, psicosomatica dunque, a disturbi che abbiamo sempre e solo diviso, scisso, perché più comodi da controllare, negando e sottovalutando quanto la mente condizioni il corpo, ne diriga le alterazioni e la guarigione e quanto il corpo, se ferito, offeso, ritrovi nella mente significati di resa e disperazione che si possono alimentare fino a giungere alla ripetizione cognitiva di schemi psicologici non adattivi.

Se per alcune malattie psicosomatiche può sfuggire il senso di connessione tra la mente e il corpo, nel caso dei disturbi cutanei appare più evidente il senso in quanto è proprio sulla pelle che i conflitti emotivi vengono “scaricati”.

Chi soffre di disturbi cutanei fatica a esternare e a condividere le proprie emozioni, le tiene prigioniere nello scrigno segreto della latenza in quanto scomode o considerate negative e quindi cattive. Si racchiudono, così, conflitti prevalentemente relazionali, dove la visione del mondo del soggetto include il sintomo come veicolo di accettazione/rifiuto dell’altro e di se stessi.

Il dolore che provoca la rabbia inconfessata, il risentimento, la recriminazione interiorizzata, vengono sfogati sulla pelle. Le reazioni cutanee pruriginose di cui non sono rintracciabili cause tossiche ambientali e/o alimentari sono, così, riconducibili ad una tossicità autoprodotta dal soggetto che nel tentativo di controllare il problema che lo fa soffrire, deve  pur sempre mantenere il suo equilibrio psicofisico di base e per ripristinarlo in caso di alterazione, tenta a modo suo di condividerlo all’esterno.

In un continuum che comprende due estremi, soprattutto in soggetti iper-controllati dove la meticolosità e la razionalità prevalgono sull’espressione immediata delle emozioni, l’intenso trasporto come l’eccitazione ansiosa, vengono veicolate in prima istanza nell’esplosione di attività di spostamento come il prurito dove l’atto di grattarsi diventa la comunicazione emozionale fino a quel momento inibita.

Il prurito diventa un modo di grattarsi via un persecutore interno – fantasmatico o reale non ha più importanza – che non dà tregua. Ma il prurito aspecifico incontrollabile può essere anche la difesa a un cambiamento di pelle, a un passo esistenziale verso un’identità nuova, alla scelta della propria creatività, all’assertività.

Il disturbo cutaneo diventa, così, simbolo e stigma dove ciò che viene mostrato all’altro è l’unico modo che il soggetto sofferente ha di sentire in sé un sentimento esistenziale e di cercare un sentimento identitario che in qualche modo lo porti ad accettare l’espressione dei suoi contenuti emotivi, elemosinando un contatto attraverso la malattia, trattenendo l’espressione di sé per paura di nuovi rifiuti.

La paura di un rifiuto ormai lontano nel tempo, si ripropone e diventa difesa estrema, corazza, in una disperazione che oscilla tra il desiderio di fondersi con l’altro e la paura di perdere i propri confini, in un’identità dipendente dall’altro e dalle reazioni dell’altro. La pelle si ispessisce e la fantasia è di essere trasparenti.

Il percorso psicoterapeutico si può inserire in questo movimento mettendo “a nudo” le fantasie aggressive frutto di un rifiuto “a pelle” subito in passato, alimentando un senso di identità che si sente fragile, rinforzando un soggetto “trasparente” e invaso. Attraverso la relazione terapeutica, perché il conflitto è relazionale – è un conflitto che nasce nel gruppo umano con le sue paure e le sue regole –  e dal rapporto con l’altro (il terapeuta) riceverà la parola alle emozioni e l’accettazione del rischio relazionale.

La pelle si trasforma come si trasforma la persona affrontando i passaggi evolutivi e il rifiuto passato può diventare la spinta, il motore di un rinnovamento, verso l’accettazione di se stessi e delle proprie contraddizioni e l’accettazione dell’altro con i suoi limiti, le sue paure, i suoi desideri di contatto e di amore.