RIDEFINIRE I PROPRI OBIETTIVI – Dai Bisogni all’autorealizzazione nella “fase 2 – convivenza con il virus”

“Lo sviluppo, il compimento di sé, saranno mai possibili senza dolore e pena, senza disperazione e tormento?” (Abraham H. Maslow)

In questo momento storico che vede la ri-progettazione di molti aspetti della nostra vita, questo articolo intende definire come sia difficile ora riformulare tale progettazione partendo dai bisogni fondamentali di benessere, lavoro, autorealizzazione, quando solo fino a ieri – dove la normalità si fondeva con la facilità a realizzare desideri consumistici – ci sembrava di poter confermare la presunzione imperante di una soddisfazione immediata in molti ambiti della nostra vita.

La lunga quarantena dovuta al Coronavirus può aver fiaccato anche la più energica motivazione al cambiamento e alla autorealizzazione ed è ora di vitale importanza riappropriarsi di tale motivazione anche per affrontare i problemi della conseguente crisi economica globale che investe l’esistenza di ciascuno.

E’ opportuno ora reimpostare i propri progetti, partendo dall’assunzione delle proprie emozioni, in quanto, solo riconoscendo le proprie emozioni e dando valore ad esse, si è poi in grado di investire i propri progetti di motivazione e portarli a compimento.

Siamo talmente abituati a misconoscere le nostre emozioni “scomode”, con le conseguenti tensioni che ci disturbano nell’efficiente andare per il mondo, che quando esse irrompono in noi creando un disequilibrio, ci spaventiamo al punto da innescare una protezione disfunzionale dalla nostra interiorità.

Accogliere la tensione – generalmente associata allo stress – che le emozioni – che consideriamo come “negative” – ci inducono, può apportare una nuova spinta creativa ai nostri progetti che in questo momento storico ci appaiono come irrealizzabili.

E certi progetti, per essere realizzati, hanno bisogno di tensione, una tensione fisica e psicologica, che ci aiuta a selezionare gli stimoli esterni che di volta in volta si frappongono nel processo di organizzazione che mettiamo in atto nella realizzazione di un progetto, e stimoli interni a noi stessi che ci portano a rinunciare, procrastinare, difenderci anche, e alle credenze dannose alla nostra crescita personale derivanti da indottrinamenti famigliari, ambientali, culturali, di genere.

La spinta alla progettazione di qualcosa che può migliorare la nostra vita parte da bisogni primari per la natura umana che possiamo raggruppare in bisogni fisiologici, bisogni di sicurezza, di amore, di rispetto, di informazione.

Questi bisogni primari sono percepiti come conturbanti ma anche rivoluzionari,  auto accrescitivi e motivazionali.

Partendo dal presupposto che non esiste un tempo giusto, ottimale, per mettersi al lavoro su un progetto, e, cioè, che “non è mai il momento giusto”,  è probabile che il punto di partenza, dove nasce l’intuizione, sia in noi dettato da un impulso all’autorealizzazione che può partire anche da un bisogno primario e poi attraversare il desiderio e venir scartato proprio in quanto il desiderio viene contemplato come effimero e quindi  di trascurabile valore.

Già Maslow nel 1962 metteva in evidenza quanto le persone ritenessero i bisogni legati agli stati motivazionali in generale, come irritanti, spiacevoli,”fastidiosi”, indesiderabili, vedendoli come una   minaccia alla propria integrità, e quanto cercassero generalmente di liberarsene, di negarli o di evitarli giungendo in alcuni casi alla rimozione.

Come sottolinea l’autore di Verso una psicologia dell’essere, c’è un dato che è importante tener presente: “Se definiamo l’accrescimento come l’insieme dei diversi processi che conducono la persona all’autorealizzazione definitiva, ciò corrisponde meglio al fatto osservato che essa ha luogo durante l’intera vita dell’individuo” e prosegue spiegando che:  “… I bisogni fondamentali e l’autorealizzazione non si contraddicono l’un l’altro… L’uno passa nell’altro e ne è un requisito preliminare e necessario.”

Diventa centrale, allora, la soddisfazione o la non soddisfazione, che abbiamo sperimentato nel passato e che ci guida nel presente verso la progettazione.  La soddisfazione realizzata diventa un punto cardine della motivazione attuale e dirige la progettazione includendo quella tensione che non sembrerà più così pericolosa e destabilizzante, alleandosi con essa, permettendo così di ribaltare una condizione fastidiosa in una condizione quasi piacevole e vitale.

Nel passato di ognuno c’è stato un momento di soddisfazione verso la realizzazione di qualcosa di estremamente vitale nella propria esistenza e ognuno ha una sua specificità e unicità che lo contraddistingue.

Questi istanti preziosi vanno rintracciati, riscoperti, di nuovo assunti, e non importa se gli ambiti di realizzazione ci appaiono differenti da quelli in cui intendiamo operare ora, è la capacità creativa specifica che genera resilienza e resistenza interiore.

E’ lì che dobbiamo andare per ritrovare la giusta motivazione.

IL DOLORE NASCOSTO NELL’ISOLAMENTO SOCIALE – Vivere il disagio del confinamento ai tempi del Covid-19

“L’isolamento è l’esperienza di una perdita, mentre la solitudine è l’esperienza di una rinuncia. L’isolamento si subisce, nella solitudine si cerca qualcosa.”
(Hans George Gadamer)

Essere costretti  all’isolamento casalingo quando fuori  imperversa  un virus potente e sconosciuto, in un’epoca moderna, globalizzata, efficiente, dove tutto è ormai a misura di bisogno realizzato, dove le differenze sociali e culturali sono ancora più accentuate ma ci si prodiga per non vedere,  cosa può significare  psicologicamente per l’uomo  di questo tempo?

Ci sono diverse fasi psicologiche che è possibile attraversare interiormente quando stiamo vivendo situazioni potenzialmente traumatiche e possiamo senz’altro affermare che l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo a livello globale è una di queste.

Nell’immediatezza del  primo periodo di lockdown, il nostro impegno personale si è legato all’obbligo di isolamento sociale ed è diventato solidale e sostenibile a livello comunitario.

Questo primo periodo è stato caratterizzato, a livello interiore,  da una novità dove l’adattamento e l’esempio degli altri ci ha visto tutti molto virtuosi e abbastanza disciplinati. Le nuove tecnologie con la possibilità di stare perennemente connessi a distanza con gli altri ci hanno salvaguardato psicologicamente dandoci anche nuove risorse di aiuto per noi stessi e per gli altri oltre a darci un senso altro, virtuoso appunto, a questo stare rinchiusi.

In questa prima fase è probabile che i sentimenti  caratteristici di ognuno e appartenenti al pensiero astratto  e che quindi ci caratterizzano nell’interpretazione personale che diamo agli eventi , abbiano potuto nascondersi ancora di più in profondità – non era certo quello il momento adatto per ribellarsi lasciandosi prendere dalla dirompente forza delle emozioni come  la paura, la rabbia, il disprezzo, verso se stessi o verso l’altro, emozioni che irrompono nel sentimento di base di ognuno stravolgendo la personale interpretazione del mondo.

Ed “è andato tutto bene” parafrasando l’hashtag imperante “andrà tutto bene” . Ma sappiamo tutti che non è stato così per troppe persone e non lo sarà ancora per diverso tempo e in diverse aree del nostro paese.

Nella seconda fase o di convivenza con il virus dovremo fare i conti con il dolore sotteso di ognuno per la perdita di privilegi acquisiti sul proprio ruolo sociale, individuale, nonchè sulla virtuosità psicologica di resistenza alle avversità.

Diventa necessario tener presente un aumento della componente negativa dello stress – distress – che a differenza dalla componente dello stress che fisiologicamente ci stimola all’adattamento verso nuove situazioni e nuove sfide – eustress –  può interessare la persona, che nel protrarsi dell’isolamento sociale può perdere il senso prescritto di contrasto del contagio, con sentimenti emergenti di rabbia e impotenza  e iniziare a viversi il confinamento solo come una forma di costrizione ai propri movimenti verso l’esterno,  sentimenti di paura verso l’altro probabile diffusore del virus, diffidenza, ma anche paura verso i propri sentimenti e le proprie emozioni che lo riporterebbero verso i propri lati ombra, dove i moti pulsionali mettono in risalto particolari della propria struttura psicologica e psichica in mutamento regressivo.

Svuotamento emotivo, derealizzazione e depersonalizzazione, rassegnazione, fino a raggiungere veri e propri quadri psicopatologici con sintomatologia depressiva – tanto più se sottesa alla struttura di personalità – ma anche disturbi del sonno, disturbi cognitivi di attenzione per troppi stimoli contrastanti interni ed esterni, possono insorgere capovolgendo l’equilibrio individuale e famigliare.

Bisogna innanzitutto tenere presente che lo scenario presentato già coinvolge categorie lavorative – come gli operatori sanitari –  e tipologie di personalità più vulnerabili. Tuttavia, qui si intende mettere in evidenza come le conquiste maturate per quanto riguarda il superamento dell’isolamento sociale, avvenute in percorsi psicoterapeutici condotti da diverse persone di diverse fasce d’età, sono state dismesse, con conseguente rischio di una regressione o un ritorno a stadi precedenti il lavoro terapeutico.

Nello stesso tempo, si impone una presenza di aiuto professionale per tutti coloro che percependo disagio psicologico crescente ne sentano il bisogno. E’ necessario che tutte e tre queste tipologie di casi – persone che durante questa emergenza sono state esposte a forte stress, per coloro che hanno subìto le conseguenze traumatiche del virus e per quelle persone che hanno dovuto interrompere anche bruscamente il proprio percorso terapeutico – possano usufruire di sostegno psicologico senza temere altre stigmatizzazioni – oltre quella del virus – e dando valore al proprio vissuto emozionale.

LO SPAZIO ANGUSTO: LA COPPIA CONFINATA dalla rassegnazione alla risorsa

Il confinamento nelle proprie abitazioni richiesto e attuato durante l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ridisegna equilibri consolidati che nel caso della coppia possono mettere duramente alla prova la sopportazione reciproca.

Ripercorrere i passaggi di incontro originario ci può, allora, aiutare a trovare lo “spazio d’uscita” per non vivere il confinamento casalingo come l’anticamera della fine dell’unione d’amore.

Quando la coppia si forma, le differenze individuali che contraddistinguono i due partner vengono percepite come punti di forza e base per una buona unione.

Molto spesso, però, nel tentativo di conciliare le due personalità in un progetto comune, i due partner lentamente perdono di vista proprio quello che, oltre l’attrazione fisica, li ha uniti.

Se subentra una crisi, ma anche un evento eccezionale come quello che la pandemia ci sta facendo attraversare, ritroviamo nei due partner un sentimento di rivendicazione per i propri spazi personali, per le proprie idee, per i propri valori ma anche verso le aspettative individuali sulla loro unione, come se fino ad allora si fossero sacrificati nell’esprimere sé stessi.

Lo spazio casalingo diventa improvvisamente uno spazio angusto, troppo piccolo – nella percezione dello spazio poco contano le dimensioni oggettive e gli spazi suddivisi – dove la privacy improvvisamente viene a mancare, dove ci si sente “costretti” a “condividere” pasti, riposo, tempo libero.

La coppia scopre di essere formata da due individui separati e compaiono, come uno shock, anche gusti diversi, preferenze differenti.

Si scopre qualcosa di nuovo: Io sono io e tu sei tu!

La comparsa delle differenze individuali nella coppia: genesi

Nell’esaltazione della prima fase d’unione, i due partner presentano all’altro solo l’aspetto migliore di sé aderendo anche ad un modello più accettabile socialmente.

Questa fase “fisiologica” nell’incontro tra i due partner può durare molto tempo, ci possono essere matrimoni impostati solo su questa prima fase grazie alla capacità istrionica del femminile e alla capacità camaleontica del maschile.

La suddivisione del lavoro aiuta a mantenere questa “distanza” tra i due. Una coppia così impostata difficilmente si arrenderà all’allargamento familiare che il concepimento dei figli comporta.

Una nuova opportunità

A poco a poco che la conoscenza tra i due va avanti, emergono anche i conflitti e/o i disagi personali che li affliggono individualmente e diventa sempre più difficile nasconderli all’altro ma anche a sé stessi.

Nel confinamento attuale, questo nuovo assetto può disorientare.

Improvvisamente l’altro si svela al partner come pieno di “difetti” o come “problematico”.

Questa nuova realtà, questa nuova “verità” della coppia, suggella spesso il “io ti salverò” che trascina i due nell’isolamento e nella frustrazione.

Ma, citando il grande romanziere Italo Calvino, “La conoscenza del prossimo ha questo di speciale, passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stessi”.

La coppia che riconosce il problema del cambiamento individuale come risorsa e non solo come risultato delle apparenti presentazioni della propria personalità individuale, sarà la coppia che riuscirà a ridefinirsi nel confinamento riuscendo a trovare  la giusta motivazione al cambiamento, comprendendo che forse quelle evidenti differenze individuali emerse nella crisi, potranno rafforzare e non indebolire la loro unione, imparando a modulare le emozioni da condividere con le emozioni da elaborare individualmente prima di incontrarsi con l’altro.

Lo spunto che qui si intende porre è di concentrarsi nell’osservazione dei seguenti aspetti:

  • focalizzare l’attenzione sulle false comunicazioni che si vengono a creare tra i due partner
  • concentrarsi su una o più sequenze di azione tra i due ripristinando la comunicazione diretta, non aggressiva, verbale, pacata, nel rispetto delle emozioni dell’altro e delle proprie
  • prediligere la base comune, riscoprendo il focus comune originario che diventa la bussola della nuova armonia.

Si può, allora, vivere nello stesso spazio abitativo senza tarpare le ali individuali, uniche e – si scopre, paradossalmente – amate fin dall’inizio dell’incontro originario.

IL DISTANZIAMENTO SOCIALE COME MISURA PREVENTIVA NELL’ATTUALE EMERGENZA SANITARIA – un’analisi metapsicologica

L’anno in corso si è aperto e si sta imponendo nelle vite di tutti con una pericolosa pandemia, quella del Coronavirus, che richiede la trasformazione delle abitudini consolidate, del lavoro, delle relazioni, e anche del rapporto con noi stessi e le nostre fragilità psicologiche e sopratutto fisiche.

Di fronte ad un pericolo esterno a noi, reagiamo con meccanismi di difesa che caratterizzano la struttura di personalità di ognuno e che quindi solo apparentemente possono venir omologati a comportamenti collettivi se non addirittura sociali.

Questa considerazione apre all’osservazione e alla valutazione del singolo, in quanto è nel singolo che si presenta anche la soluzione creativa – intesa come soluzione adattiva superiore – che permetterà il superamento di forti stati di angoscia e di forte incertezza sul futuro così come appaiono caratteristici di questa specifica pandemia.

Uno degli aspetti più rilevanti che il Coronavirus – COVID-19 – ci sta imponendo è il distanziamento sociale, quella distanza dall’altro da noi che sia sufficiente per contrastare il contagio del virus, così come ci viene indicato nelle linee guida degli scienziati e dell’OMS.

Ma cosa comporta psicologicamente il distanziarci dall’altro?

Dalle prime osservazioni constatiamo reazioni primarie di prudenza che però nascondono altro, dove questo “altro” va rintracciato in strategie di sopravvivenza primordiali e meno evolute e quindi insite nella nostra parte interna più arcaica, evolutivamente regressiva, che viene attivata dallo stato di paura.

Solo dopo compare la responsabilità individuale  nei confronti  della cura a continuare il distanziamento sociale per proteggere anche gli altri e non solo noi stessi dal contagio nell’eventualità fossimo noi  i presunti contagianti.

Quindi, prima viene l’altro come possibile pericolo per la nostra incolumità e solo dopo – come crescita evolutiva – l’integrazione mentale che potremmo essere anche noi i portatori e che l’altro va protetto anche da noi stessi.

Ritengo questo aspetto una chiave per poter interpretare reazioni individuali  nei soggetti con fragilità psicologiche e psichiche che elicitano regressioni comportamentali a precedenti stati d’essere cosiddetti  irrazionali.

Freud in Psicologia delle masse e analisi dell’io ci insegna che nella massa,  l’individuo si trova protetto – attraverso la rimozione – dai propri moti pulsionali inconsci, in quanto l’identificazione con il capo, prima, e con gli altri, dopo, lo tutela dall’esplosione di tali moti pulsionali che può avvenire, per esempio, nella circostanza della perdita di sicurezza che produce angoscia e conseguente espressione di panico generalizzato:

“Il sentimento sociale sta quindi nella trasformazione di un sentimento precedentemente ostile in un attaccamento positivo sotto forma di identificazione… Tutti gli individui vorrebbero essere uguali ma anche governati da una singola persona.”

E di perdita di sicurezza si tratta nella pandemia che ci sta coinvolgendo globalmente.

Il momento in cui lo scienziato, il capo di stato, i funzionari, guidano e regolamentano il comportamento anti contagio, il senso di sicurezza sociale viene ripristinato dopo il primo shock individuale ed avviene la trasformazione (di cui sopra), di natura cognitiva: dalla diffidenza verso l’altro che può contagiarci, alla responsabilità individuale di tutela dell’altro.

Questa possibilità coerente che investe il gruppo – la massa di Freud – e che nel distanziamento sociale trova la sua espressione nel caso della pandemia da COVID-19,  ha, dunque, insita in sé una crescita di coscienza superiore, volta sia al superamento dell’angoscia di perdita e sia alla risoluzione della malattia a livello collettivo.