“L’isolamento è l’esperienza di una perdita, mentre la solitudine è l’esperienza di una rinuncia. L’isolamento si subisce, nella solitudine si cerca qualcosa.”
(Hans George Gadamer)
Essere costretti all’isolamento casalingo quando fuori imperversa un virus potente e sconosciuto, in un’epoca moderna, globalizzata, efficiente, dove tutto è ormai a misura di bisogno realizzato, dove le differenze sociali e culturali sono ancora più accentuate ma ci si prodiga per non vedere, cosa può significare psicologicamente per l’uomo di questo tempo?
Ci sono diverse fasi psicologiche che è possibile attraversare interiormente quando stiamo vivendo situazioni potenzialmente traumatiche e possiamo senz’altro affermare che l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo a livello globale è una di queste.
Nell’immediatezza del primo periodo di lockdown, il nostro impegno personale si è legato all’obbligo di isolamento sociale ed è diventato solidale e sostenibile a livello comunitario.
Questo primo periodo è stato caratterizzato, a livello interiore, da una novità dove l’adattamento e l’esempio degli altri ci ha visto tutti molto virtuosi e abbastanza disciplinati. Le nuove tecnologie con la possibilità di stare perennemente connessi a distanza con gli altri ci hanno salvaguardato psicologicamente dandoci anche nuove risorse di aiuto per noi stessi e per gli altri oltre a darci un senso altro, virtuoso appunto, a questo stare rinchiusi.
In questa prima fase è probabile che i sentimenti caratteristici di ognuno e appartenenti al pensiero astratto e che quindi ci caratterizzano nell’interpretazione personale che diamo agli eventi , abbiano potuto nascondersi ancora di più in profondità – non era certo quello il momento adatto per ribellarsi lasciandosi prendere dalla dirompente forza delle emozioni come la paura, la rabbia, il disprezzo, verso se stessi o verso l’altro, emozioni che irrompono nel sentimento di base di ognuno stravolgendo la personale interpretazione del mondo.
Ed “è andato tutto bene” parafrasando l’hashtag imperante “andrà tutto bene” . Ma sappiamo tutti che non è stato così per troppe persone e non lo sarà ancora per diverso tempo e in diverse aree del nostro paese.
Nella seconda fase o di convivenza con il virus dovremo fare i conti con il dolore sotteso di ognuno per la perdita di privilegi acquisiti sul proprio ruolo sociale, individuale, nonchè sulla virtuosità psicologica di resistenza alle avversità.
Diventa necessario tener presente un aumento della componente negativa dello stress – distress – che a differenza dalla componente dello stress che fisiologicamente ci stimola all’adattamento verso nuove situazioni e nuove sfide – eustress – può interessare la persona, che nel protrarsi dell’isolamento sociale può perdere il senso prescritto di contrasto del contagio, con sentimenti emergenti di rabbia e impotenza e iniziare a viversi il confinamento solo come una forma di costrizione ai propri movimenti verso l’esterno, sentimenti di paura verso l’altro probabile diffusore del virus, diffidenza, ma anche paura verso i propri sentimenti e le proprie emozioni che lo riporterebbero verso i propri lati ombra, dove i moti pulsionali mettono in risalto particolari della propria struttura psicologica e psichica in mutamento regressivo.
Svuotamento emotivo, derealizzazione e depersonalizzazione, rassegnazione, fino a raggiungere veri e propri quadri psicopatologici con sintomatologia depressiva – tanto più se sottesa alla struttura di personalità – ma anche disturbi del sonno, disturbi cognitivi di attenzione per troppi stimoli contrastanti interni ed esterni, possono insorgere capovolgendo l’equilibrio individuale e famigliare.
Bisogna innanzitutto tenere presente che lo scenario presentato già coinvolge categorie lavorative – come gli operatori sanitari – e tipologie di personalità più vulnerabili. Tuttavia, qui si intende mettere in evidenza come le conquiste maturate per quanto riguarda il superamento dell’isolamento sociale, avvenute in percorsi psicoterapeutici condotti da diverse persone di diverse fasce d’età, sono state dismesse, con conseguente rischio di una regressione o un ritorno a stadi precedenti il lavoro terapeutico.
Nello stesso tempo, si impone una presenza di aiuto professionale per tutti coloro che percependo disagio psicologico crescente ne sentano il bisogno. E’ necessario che tutte e tre queste tipologie di casi – persone che durante questa emergenza sono state esposte a forte stress, per coloro che hanno subìto le conseguenze traumatiche del virus e per quelle persone che hanno dovuto interrompere anche bruscamente il proprio percorso terapeutico – possano usufruire di sostegno psicologico senza temere altre stigmatizzazioni – oltre quella del virus – e dando valore al proprio vissuto emozionale.