L’anno in corso si è aperto e si sta imponendo nelle vite di tutti con una pericolosa pandemia, quella del Coronavirus, che richiede la trasformazione delle abitudini consolidate, del lavoro, delle relazioni, e anche del rapporto con noi stessi e le nostre fragilità psicologiche e sopratutto fisiche.
Di fronte ad un pericolo esterno a noi, reagiamo con meccanismi di difesa che caratterizzano la struttura di personalità di ognuno e che quindi solo apparentemente possono venir omologati a comportamenti collettivi se non addirittura sociali.
Questa considerazione apre all’osservazione e alla valutazione del singolo, in quanto è nel singolo che si presenta anche la soluzione creativa – intesa come soluzione adattiva superiore – che permetterà il superamento di forti stati di angoscia e di forte incertezza sul futuro così come appaiono caratteristici di questa specifica pandemia.
Uno degli aspetti più rilevanti che il Coronavirus – COVID-19 – ci sta imponendo è il distanziamento sociale, quella distanza dall’altro da noi che sia sufficiente per contrastare il contagio del virus, così come ci viene indicato nelle linee guida degli scienziati e dell’OMS.
Ma cosa comporta psicologicamente il distanziarci dall’altro?
Dalle prime osservazioni constatiamo reazioni primarie di prudenza che però nascondono altro, dove questo “altro” va rintracciato in strategie di sopravvivenza primordiali e meno evolute e quindi insite nella nostra parte interna più arcaica, evolutivamente regressiva, che viene attivata dallo stato di paura.
Solo dopo compare la responsabilità individuale nei confronti della cura a continuare il distanziamento sociale per proteggere anche gli altri e non solo noi stessi dal contagio nell’eventualità fossimo noi i presunti contagianti.
Quindi, prima viene l’altro come possibile pericolo per la nostra incolumità e solo dopo – come crescita evolutiva – l’integrazione mentale che potremmo essere anche noi i portatori e che l’altro va protetto anche da noi stessi.
Ritengo questo aspetto una chiave per poter interpretare reazioni individuali nei soggetti con fragilità psicologiche e psichiche che elicitano regressioni comportamentali a precedenti stati d’essere cosiddetti irrazionali.
Freud in Psicologia delle masse e analisi dell’io ci insegna che nella massa, l’individuo si trova protetto – attraverso la rimozione – dai propri moti pulsionali inconsci, in quanto l’identificazione con il capo, prima, e con gli altri, dopo, lo tutela dall’esplosione di tali moti pulsionali che può avvenire, per esempio, nella circostanza della perdita di sicurezza che produce angoscia e conseguente espressione di panico generalizzato:
“Il sentimento sociale sta quindi nella trasformazione di un sentimento precedentemente ostile in un attaccamento positivo sotto forma di identificazione… Tutti gli individui vorrebbero essere uguali ma anche governati da una singola persona.”
E di perdita di sicurezza si tratta nella pandemia che ci sta coinvolgendo globalmente.
Il momento in cui lo scienziato, il capo di stato, i funzionari, guidano e regolamentano il comportamento anti contagio, il senso di sicurezza sociale viene ripristinato dopo il primo shock individuale ed avviene la trasformazione (di cui sopra), di natura cognitiva: dalla diffidenza verso l’altro che può contagiarci, alla responsabilità individuale di tutela dell’altro.
Questa possibilità coerente che investe il gruppo – la massa di Freud – e che nel distanziamento sociale trova la sua espressione nel caso della pandemia da COVID-19, ha, dunque, insita in sé una crescita di coscienza superiore, volta sia al superamento dell’angoscia di perdita e sia alla risoluzione della malattia a livello collettivo.